ISSN 2039 - 6937  Registrata presso il Tribunale di Catania
Anno XVI - n. 04 - Aprile 2024

  Penale



Osservatorio sulla Giurisprudenza Penale al 31 marzo 2017. A cura di Valeria Privitera

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  • Corte di Cassazione, Sezione V penale, sentenza 24 marzo 2017, n. 14531

    L’amministratore di fatto, in tema di bancarotta fraudolenta, va individuato sulla base delle concrete funzioni esercitate, basandosi anche su indici sintomatici quali il conferimento di deleghe in settori fondamentali della vita d’impresa o la partecipazione diretta alla gestione della vita societaria.

    Con sentenza del 20/11/2015 la Corte di Appello di Lecce confermava la sentenza di condanna alle pene ritenute di giustizia emessa dal Tribunale di Lecce nei confronti di (OMISSIS), per il reato di bancarotta fraudolenta documentale, per avere, in qualita’ di amministratore di fatto della (OMISSIS) s.a.s., dichiarata fallita il (OMISSIS), in concorso con (OMISSIS), tenuto i libri e le scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio, e nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, per aver distratto il ramo di azienda avente ad oggetto l’attivita’ principale della societa’, assolvendoli dal reato di falso ideologico in atto pubblico (articolo 483 cod. pen.), per avere falsamente dichiarato nell’atto notarile di cessione di ramo di azienda che il prezzo di vendita era stato interamente pagato dalla societa’ acquirente (OMISSIS) s.r.l. di (OMISSIS). 

    Il ricorrente lamenta l’attribuzione del ruolo di amministratore di fatto, a suo dire, non suffragata da uno stabile impianto probatorio. Afferma, infatti, che non sarebbe sufficiente la prova di un’ingerenza saltuaria nell’attività sociale, occorrendo, invece, provare un esercizio significativo e continuativo dei poteri di amministrazione.
    Inoltre, in merito alle condotte distrattive, si afferma che la cessione di beni d’impresa non possa assumere rilevanza penale nel caso in cui sia diretta a realizzare una finalità d’impresa, quale quella di soddisfare le pendenze debitorie.
    Si afferma, dunque, che l’imputato avesse svolto le attività che gli sono contestate in qualità di socio accomandante e che, quindi, non fosse possibile desumere, dallo svolgimento di queste, l’ulteriore qualifica di amministratore di fatto.

    Il ricorrente, secondo la linea della difesa non ha mai partecipato alla gestione della società in maniera concreta, continuativa e significativa, ne’ si è intromesso nell’esercizio delle funzioni amministrative, e dunque non poteva essere ritenuto responsabile a titolo di concorso nel reato di bancarotta fraudolenta, mancando la prova di un contributo causale.

    La Suprema Corte afferma in particolare, con riferimento alle doglianze relative all’effettivita’ del ruolo di amministratore di fatto, va rammentato che, in tema di bancarotta fraudolenta, i destinatari delle norme di cui agli articoli 216 e 223 L. fall. vanno individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non gia’ rapportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta (Sez. 5, n. 41793 del 17/06/2016, Ottobrini, Rv. 268273, che, in motivazione, ha ritenuto corretta l’individuazione dell’imputato quale amministratore di fatto, in quanto effettuata sulla base di indici sintomatici quali: il conferimento di deleghe in suo favore in fondamentali settori dell’attivita’ di impresa, la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, la costante assenza dell’amministratore di diritto e la mancata conoscenza di quest’ultimo da parte dei dipendenti; Sez. 1, n. 18464 del 12/05/2006, Ponciroli, Rv. 234254: “La posizione dell’amministratore di fatto, destinatario delle norme incriminatrici della bancarotta fraudolenta, va determinata con riferimento alle disposizioni civilistiche che, regolando l’attribuzione della qualifica di imprenditore e di amministratore di diritto, costituiscono la parte precetti va di norme che sono sanzionate dalla legge penale. La disciplina sostanziale si traduce, in via processuale, nell’accertamento di elementi sintomatici di gestione o cogestione della societa’, risultanti dall’organico inserimento del soggetto, quale “intraneus” che svolge funzioni gerarchiche e direttive, in qualsiasi momento dell'”iter” di organizzazione, produzione e commercializzazione dei beni e servizi – rapporti di lavoro con i dipendenti, rapporti materiali e negoziali con i finanziatori, fornitori e clienti – in qualsiasi branca aziendale, produttiva, amministrativa, contrattuale, disciplinare”). La nozione di amministratore di fatto, introdotta dall’articolo 2639 cod. civ., postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione; nondimeno, significativita’ e continuita’ non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attivita’ gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. Ne consegue che la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive – in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attivita’ della societa’, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attivita’, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare – il quale costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimita’, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, Tarantino, Rv. 256534).

    Tanto premesso, essendo sostenuta da congrua e logica motivazione, come in precedenza evidenziato, e’ insindacabile in sede di legittimita’ la valutazione di fatto formulata dalla sentenza impugnata in merito al ruolo di amministratore di fatto assunto dall’odierno ricorrente.

    In ordine alla affermazione di responsabilita’ penale per la bancarotta documentale, dunque, l’accertamento del ruolo di amministratore di fatto anche dopo la formale cessione del ramo d’azienda assorbe la dedotta questione della riferibilita’ delle condotte esclusivamente al periodo successivo alla dismissione della titolarita’; peraltro, la sentenza impugnata ha affermato la responsabilita’ per la tenuta delle scritture in modo da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio fino al 25/07/2005 nella qualita’ di socio accomandatario e legale rappresentante della societa’ fallita, e, successivamente, in qualita’ di amministratore di fatto.

    In ordine alla affermazione di responsabilita’ penale per la bancarotta patrimoniale, la dedotta estraneita’ alla cessione del ramo d’azienda, e, quindi, alla distrazione, appare contraddetta dal ruolo di amministratore di fatto della societa’, e dal pieno coinvolgimento nell’operazione fittizia, diretta a distogliere dal patrimonio sociale l’unico bene aziendale di valore rimasto, nell’ambito di una situazione di dissesto economico, in favore di una societa’ (la (OMISSIS) s.r.l.) costituita dal padre ( (OMISSIS)) e dalla moglie ( (OMISSIS)) del dominus ( (OMISSIS)), immediatamente dopo la presentazione di un’istanza di fallimento, pochi giorni prima della formale cessione, e senza il reale pagamento del corrispettivo di vendita.

    Al riguardo, infatti, il soggetto che assume, in base alla disciplina dettata dall’articolo 2639 cod. civ., la qualifica di amministratore “di fatto” di una societa’ e’ da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui e’ soggetto l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, e’ penalmente responsabile per tutti i comportamenti a quest’ultimo addebitabili, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della regola dettata dall’articolo 40 c.p., comma 2, (Sez. 5, n. 15065 del 02/03/2011, Guadagnoli, Rv. 250094). 

    2. Il ricorso di (OMISSIS) e’ inammissibile, non soltanto perche’ ripropone i medesimi motivi proposti con l’atto di appello, e motivatamente respinti dalla Corte territoriale, senza alcun confronto argomentativo con la sentenza impugnata (ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 31939 del 16/04/2015, Falasca Zamponi, Rv. 264185; Sez. 6, n. 13449 del 12/02/2014, Kasem, rv. 259456), ma altresi’ perche’ propone motivi diversi da quelli consentiti dalla legge (articolo 606 c.p.p., comma 3), risolvendosi in doglianze eminentemente di fatto, riservate al merito della decisione.

    Inoltre In ordine alla responsabilita’ del socio accomandante ed ai limiti di applicabilita’ dell’articolo 222 L.f., e’ stato chiarito che la responsabilita’ per reati fallimentari del socio accomandante di una societa’ in accomandita semplice puo’ essere ricollegata a due diverse situazioni: – come socio divenuto illimitatamente responsabile, per essersi indebitamente ingerito nell’amministrazione della societa’, attraverso la sua dichiarazione di fallimento in sede di estensione ai sensi dell’articolo 147, comma 2, legge fall., venendo cosi’ a possedere, con lo “status” di fallito la necessaria qualifica soggettiva; – come amministratore di fatto della s.a.s. dichiarata fallita, a prescindere dallo “status” di fallito, bastando a conferirgli la soggettivita’ attiva l’essere stato preposto all’amministrazione ed al controllo di una societa’ commerciale, com’e’ previsto dall’articolo 223 L. fall.. Nel primo caso la sua responsabilita’ trova fondamento nel capo primo, titolo sesto della legge fallimentare (reati commessi dal fallito, articolo 216-222); nel secondo caso, nel capo secondo dello stesso titolo reati commessi da persone diverse dal fallito, articoli 223-235 – di cui l’amministratore (ufficialmente investito della carica o amministratore di fatto) e’ diretto destinatario (Sez. 5, n. 2637 del 07/02/1994, Cumani, Rv. 197282); in tal senso, risponde dei delitti di bancarotta anche l'”amministratore di fatto” che abbia esercitato in concreto poteri di amministratore di una societa’ in nome collettivo o in accomandita semplice e che, pertanto, non rivestendo la qualita’ di “socio illimitatamente responsabile”, puo’ non essere stato dichiarato fallito in proprio (Sez. 5, n. 43036 del 13/10/2009, Gennari, Rv. 245435; Sez. 5, n. 44103 del 28/09/2011, Melis, Rv. 251126: “In tema di reati fallimentari, la mancata estensione della dichiarazione di fallimento non preclude, di per se’, la responsabilita’ del socio accomandante che abbia violato il divieto di immissione nell’attivita’ amministrativa, a titolo di concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta ascritto all’accomandatario, essendo sufficiente ai fini della lesione del bene giuridico tutelato dall’articolo 216 L. fall. lo svolgimento di attivita’ amministrativa, anche attraverso i contatti con i clienti dell’impresa, che implica inevitabilmente la gestione delle attivita’ aziendali”).

    Tanto premesso, nel caso in esame, la sentenza impugnata ha affermato la responsabilita’ di (OMISSIS) non gia’ in qualita’ di socio divenuto, in ragione di un’indebita ingerenza (ai sensi dell’articolo 2320 c.c., comma 1), illimitatamente responsabile, ovvero di amministratore di fatto, non essendo emersa una personale partecipazione all’amministrazione e gestione della societa’ fallita, ma soltanto la prestazione del consenso all’atto di cessione del ramo di azienda (ai sensi dell’articolo 2320 c.c., comma 2).

    Viceversa, la responsabilita’ e’ stata affermata sulla base del concorso dell’extraneus nel reato fallimentare del socio accomandatario: la condotta concorsuale, di carattere agevolativo, infatti, e’ stata individuata nel contributo decisivo alla realizzazione di un atto gestorio – la distrazione del ramo di azienda – diretto esclusivamente al depauperamento del patrimonio sociale, fornito mediante la costituzione, unitamente a (OMISSIS), della societa’ (OMISSIS) s.r.l., alla quale l’attivita’ di ristorazione e’ stata fittiziamente ceduta, e la prestazione del consenso, pure previsto dall’atto costitutivo (ai sensi dell’articolo 2320 c.c., comma 2), all’atto di disposizione patrimoniale del socio accomandatario.

    In altri termini, la responsabilita’ del socio accomandante e’ stata fondata non gia’ sull’articolo 216 L.f. (quale amministratore di fatto) o sull’articolo 222 l.f. (quale socio divenuto illimitatamente responsabile, a causa di indebita ingerenza), bensi’ sulla clausola estensiva dell’articolo 110 cod. pen., che, in combinato disposto con gli articoli 216 e 222 L.f., connota di disvalore penale le condotte agevolative atipiche di partecipazione ai reati fallimentari accertati.

    Quanto alla dedotta carenza di dolo, a prescindere dal rilievo che l’accertamento dell’elemento soggettivo costituisce valutazione di fatto, riservata al giudice del merito, ed insindacabile in sede di legittimita’, ove sostenuta da congrua e logica motivazione, va rammentato che, in tema di concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, il dolo del concorrente “extraneus” nel reato proprio dell’amministratore consiste nella volontarieta’ della propria condotta di apporto a quella dell’ “intraneus”, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della societa’ (Sez. 5, n. 12414 del 26/01/2016, Morosi, Rv. 267059; Sez. 5, n. 1706 del 12/11/2013, dep. 2014, Barbaro, Rv. 258950).

  • Corte di Cassazione, Sezione V penale, sentenza 24 marzo 2017, n. 14544

    Ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento, essendo sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività.

    Con sentenza del 14/10/2015 la Corte d’appello di L’Aquila: a) ha confermato la sentenza di primo grado che aveva condannato alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni (OMISSIS), in relazione a fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, commessi nella qualita’ di amministratore della (OMISSIS) s.r.l., dichiarata fallita in data (OMISSIS); b) ha confermato l’affermazione di responsabilita’ di (OMISSIS) solo in relazione al reato di bancarotta semplice documentale, in tal modo riqualificato il reato originariamente contestato, provvedendo, anche per effetto della contestuale assoluzione dai restanti reati contestati, alla rideterminazione della pena principale e delle pene accessorie nonche’ alla concessione dei doppi benefici; c) ha confermato nel resto la sentenza impugnata.

    In merito al reato di bancarotta fraudolenta si contesta la mancata prova del nesso causale.

    La Corte al riguardo afferma che… ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, non e’ necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento, essendo sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attivita’ (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266804). Ne discende l’assoluta irrilevanza delle cause concrete del dissesto. Per pura completezza, va aggiunto comunque che anche le operazioni manifestamente imprudenti, di cui all’articolo 217 L. fall., n. 3 devono presentare, in astratto, un elemento di razionalita’ nell’ottica delle esigenze dell’impresa, cosicche’ il risultato negativo sia frutto di un mero e riscontrabile errore di valutazione (Sez. 5, n. 2876 del 10/06/1998 – dep. 03/03/1999, Vichi, Rv. 212608), laddove, nel caso di specie, la Corte territoriale ha sottolineato, alla luce del grave depauperamento determinato dalle operazioni esaminate, che era anche ravvisabile la volonta’ di determinare il dissesto.

    Inoltre, in relazione all’elemento psicologico la Corte ne individua il fondamento attraverso le risultanze peritali.

    Si afferma che… alla stregua delle risultanze peritali, che non si era al cospetto di mere irregolarita’ formali, ma di indebiti giroconti, di storni, di compensazioni, di acconti a fornitori non individuati, di pagamenti in contanti e quindi di anomalie che hanno reso impossibili la quantificazione dei valori di cassa, con formali aggiustamenti finalizzati a occultare le distrazioni. Quest’ultimo profilo rivela chiaramente l’apparato argomentativo della sentenza impugnata, quanto alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato ritenuto e alla mancata riqualificazione del fatto come bancarotta semplice – peraltro, con prospettazione che va addirittura al di la’ del dolo generico sufficiente per il caso di irregolare tenuta delle scritture contabili: Sez. 5, n. 5264 del 17/12/2013 – dep. 03/02/2014, Manfredini, Rv. 258881).
    Puo’ solo aggiungersi che non sussiste la lamentata contraddittorieta’ motivazionale, in quanto l’accertamento di distrazioni, gia’ in astratto, non coincide con la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio, che, al contrario, si dovrebbe accompagnare anche all’esatta individuazione della destinazione delle risorse sottratte alle finalita’ sociali. 

    Inoltre, il reato di bancarotta fraudolenta documentale sussiste non solo quando la ricostruzione del patrimonio si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficolta’ superabili solo con particolare diligenza (Sez. 5, n. 21588 del 19/04/2010, Suardi, Rv. 247965). 

  • Corte di Cassazione, Sezione V penale, sentenza 28 marzo 2017, n. 15281

    L’elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta impropria può dirsi integrato dalla mera prevedibilità del dissesto come conseguenza della condotta antidoverosa.

    Con sentenza del 9 giugno 2015 la Corte d’appello di Salerno ha confermato la pronunzia di primo grado, emessa in data 12 novembre 2012 dal Tribunale di Salerno, con la quale (OMISSIS) era stato condannato per il reato di bancarotta fraudolenta impropria. 

    … il ricorrente…deduce … che mancherebbe la prova sia della sussistenza del nesso causale tra operazioni dolose e dissesto, sia della consapevolezza in capo all’imputato del potenziale danno arrecato alle ragioni creditorie, avendo questi cessato dalla carica di amministratore due anni prima del fallimento.
    Tale censura risulta, secondo la Corte, priva di fondamento.

    Si afferma, infatti, che il fallimento della societa’ e’ stato cagionato principalmente dal mancato pagamento di contributi previdenziali.

    Nonché… e’ emerso che la societa’ e’ stata costituita al precipuo scopo di assumere numerosi dipendenti che hanno lavorato per conto di altre aziende, mentre sulla fallita sono stati scaricati i relativi oneri, compreso quelli previdenziali.

    E’ allora evidente che e’ stata creata una realta’ aziendale fittizia, con la finalita’ di “sgravare” i costi dei lavoratori ad altre imprese, imputandoli alla societa’ di cui risultavano apparentemente dipendenti e che, in ragione della sua inadempienza nei confronti dell’INPS, era destinata a fallire sin dal momento della sua fraudolenta costituzione.

    Il (OMISSIS) e’ stato sicuramente uno dei principali artefici di tale attivita’ fraudolenta, avendo assunto la qualita’ di amministratore sin dalla costituzione della societa’ (marzo 2004) e avendo rivestito tale incarico per oltre tre anni, sino al 7 giugno 2007, quando gli e’ subentrato un altro soggetto

    Cosi’ come desumibile dalla ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, non sono stati sin dall’inizio adempiuti gli oneri previdenziali nonche’ gli altri debiti (tra i quali anche quello assunto con la (OMISSIS) per l’acquisto di un macchinario, mai rinvenuto), sicche’ e’ pacifico che gia’ alla data del 7 giugno 2007 la societa’ era in dissesto economico.

    Correttamente, allora, i giudici di merito hanno ritenuto sussistente sia il nesso di causalita’ tra le operazioni dolose poste in essere durante il periodo di amministrazione del (OMISSIS) e il dissesto, sia l’elemento soggettivo proprio del reato contestato.

    3. Va solo qui ricordato che, sostanziandosi la fattispecie in esame in una eccezionale ipotesi di reato a sfondo preterintenzionale, e’ stato pienamente assolto dalla accusa l’onere probatorio relativo alla dimostrazione della consapevolezza e volonta’ della natura “dolosa” delle operazioni cui e’ seguito il dissesto, in una con l’astratta prevedibilita’ dell’evento scaturito per effetto dell’azione antidoverosa (Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, (OMISSIS) S.p.a. e altri, Rv. 247315; si vedano anche Sez. 5, n. 38728 del 03/04/2014, Rampino, Rv. 262207; Sez. 5, n. 2905 del 16/12/1998, Carrino G ed altri, Rv. 212613).

    D’altronde e’ noto che l’elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale impropria non comprende la previsione ed accettazione del fallimento, ma solo la consapevole volonta’ di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alla finalita’ dell’impresa e di compiere atti che cagionino, o possano cagionare, danno ai creditori (Sez. 5, n. 35093 del 04/06/2014, P.G. in proc. Sistro, Rv. 261446).

    Questa Corte ha, peraltro, condivisibilmente evidenziato che, nell’ipotesi di fallimento causato da operazioni dolose non determinanti – come nel caso di specie – un immediato depauperamento della societa’, la condotta di reato e’ configurabile quando la realizzazione di tali operazioni si accompagni, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, alla prevedibilita’ del dissesto come effetto della condotta antidoverosa (Sez. 5, n. 45672 del 01/10/2015, Lubrina e altri, Rv. 265510).

    Si e’, quindi, reiteratamente sottolineato come le operazioni dolose “attengono alla commissione di abusi di gestione o di infedelta’ ai doveri imposti dalla legge all’organo amministrativo nell’esercizio della carica ricoperta, ovvero ad atti intrinsecamente pericolosi per la “salute” economico-finanziaria della impresa e postulano una modalita’ di pregiudizio patrimoniale discendente non gia’ direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensi’ da un fatto di maggiore complessita’ strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralita’ di atti coordinati all’esito divisato (Sez. 5, n. 47621 del 25/09/2014, Prandini e altri, Rv. 261684). 

    Anche la consumazione di truffe o il sistematico inadempimento di un debito erariale arrecano sicuri immediati vantaggi all’impresa che ricorra a queste prassi illecite, ma nessun dubbio puo’ aversi sul fatto che questi comportamenti rappresentino sovente l’indefettibile innesco del dissesto allorche’ la prassi illecita venga accertata e sanzionata.

    Gia’ in altre decisioni questa Corte ha pertanto ritenuto immune da censure la decisione impugnata che aveva qualificato come operazione dolosa a norma della L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2, il mancato versamento dei contributi previdenziali con carattere di sistematicita’ (Sez. 5, n. 12426 del 29/11/2013, P.G. e p.c. in proc. Beretta e altri, Rv. 259997).

    D’altronde, il sistematico inadempimento delle obbligazioni contributive, aumentando ingiustificatamente l’esposizione nei confronti degli enti previdenziali, non puo’ che rendere prevedibile il conseguente dissesto della societa’, sicche’ certamente non puo’ escludere la configurabilita’ della fattispecie incriminatrice in esame l’autofinanziamento operato attraverso il mancato pagamento delle contribuzioni, posto che tale espressione descrive gli effetti di breve periodo – e, in ultima analisi, la ragione pratica del comportamento -, senza per questo menomare il fondamento degli effetti di medio periodo, in ragione della crescita esponenziale del debito (cosi’ in motivazione la citata Sez. 5, n. 47621 del 25/09/2014, Prandini e altri, Rv. 261684).

  • Corte di Cassazione, Sezione V penale, sentenza 30 marzo 2017, n. 16111

    La Corte individua la distinzione tra il reato di bancarotta preferenziale e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione.

    Si rimprovera ai giudici di merito di avere recepito acriticamente le conclusioni del consulente del Pubblico Ministero senza tenere in alcun conto le dichiarazioni del curatore, tese ad escludere rilevanza penale nelle condotte tenute dall’imputato quale amministratore della fallita.

    Si sostiene, a proposito della asserita distrazione degli anticipi su fatture emesse e non contabilizzate, che… Le somme liquidate a titolo di compenso per gli amministratori troverebbero giustificazione nel fatto che gli amministratori, come del resto i soci, fossero tutti impiegati a tempo pieno nell’impresa di famiglia, senza percepire emolumenti ne’ utili, sicche’ i compensi destinati agli amministratori erano l’unica fonte di sostentamento dei soci lavoratori.

    La Corte a tale riguardo afferma che…Risponde di bancarotta preferenziale e non di bancarotta fraudolenta per distrazione l’amministratore che, senza autorizzazione degli organi sociali, si ripaghi dei suoi crediti verso la societa’ in dissesto relativi a compensi per il lavoro prestato, prelevando dalla cassa sociale una somma congrua rispetto a tale lavoro (Sez. 5, n. 21570 del 16/04/2010 Rv. 247964; Sez. 5, n. 48017 del 10/07/2015 Rv. 26631101); integra, invece, il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione (articolo 216, comma 1, n. 1, e articolo 223 L. Fall.) la condotta dell’amministratore unico di una societa’ che effettui prelevamenti dalle casse sociali, provvedendo a determinare ed a liquidare in proprio favore tali somme come compenso per l’attivita’ svolta, senza nemmeno indicarne il titolo giustificativo (delibera assembleare o norma statutaria) e per di piu’ in epoca di grave dissesto per la societa’ (Sez. 5, n. 4985 del 19/12/2006 dep. 07/02/2007, Rv. 236319).

    Inoltre si precisa che…il reato di bancarotta documentale e’ configurabile con riferimento alla irregolare tenuta delle rilevazioni contabili di magazzino, in quanto il regime tributario di contabilita’ semplificata, previsto per le cosiddette imprese minori, non comporta l’esonero dall’obbligo, previsto dall’articolo 2214 cod. civ., di tenuta dei libri e delle scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa (Sez. 5, n. 52219 del 30/10/2014 Rv. 262198).