ISSN 2039 - 6937  Registrata presso il Tribunale di Catania
Anno XVI - n. 04 - Aprile 2024

  Civile



Osservatorio sulla Giurisprudenza Civile al 31 gennaio 2017. A cura di Gemma Bellia

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  • 1. Corte di Cassazione, sez. III, n. 25503 del 13 dicembre 2016: Il Contratto di locazione non registrato è nullo

    Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione chiarisce gli “effetti della mancata registrazione di un contratto di locazione” e si sofferma sulle “conseguenze patrimoniali della stipula di un contratto nullo”.

    Relativamente al primo profilo, la Corte sancisce la nullità del contratto di locazione non registrato, cristallizzando tale assunto in un principio di diritto:“ Il contratto di locazione non registrato è nullo, ai sensi dell’art. 1, comma 346, della l. 30.12.2004 n. 311”.

    Il percorso argomentativo che conduce la Corte alla elaborazione di tale principio si fonda prevalentemente “sull’argomento letterale”.

    L’art. 1, comma 346, l.311/2004 stabilisce, infatti, che “i contratti di locazione […] sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati”.

    La Cassazione, richiamando la disposizione in esame, rileva che “la chiara lettera della legge non consente alcun dubbio sul precetto che esprime”.   

    Inoltre, aggiunge la Corte, tale assunto risulterebbe avvalorato “anche alla luce dell’autorevole lettura che della norma in esame ha dato la Corte costituzionale con la sentenza 5.12.2007 n.420”, ove si afferma che tale disposizione ha elevato il precetto “a rango di norma imperativa, la violazione della quale determina la nullità del negozio, ai sensi dell’art. 1418 c.c.”

    Aderendo a tale approccio ermeneutico la Corte mostra di non condividere l’orientamento interpretativo fatto proprio dalla Corte d’appello che aveva ritenuto valido ma inefficace il contratto oggetto del giudizio, sul presupposto che la registrazione del contratto prevista dalla norma fosse una condicio iuris della sua efficacia.

    La Corte prosegue nella sua argomentazione evidenziando che al contratto di locazione non registrato non sia applicabile la disciplina della risoluzione per inadempimento dei contratti di durata di cui all’articolo 1458 c.c., ma le norme che disciplinano “gli effetti della nullità”, ed in particolare, le disposizioni sull’indebito oggettivo, quelle sul risarcimento del danno aquiliano, ovvero quelle sull’ingiustificato arricchimento, come misura residuale.

    Da tale affermazione la Suprema Corte fa discendere il principio di diritto secondo cui “la prestazione compiuta in esecuzione di un contratto nullo costituisce un indebito oggettivo, regolato dell’art. 2033 c.c., e non dall’art. 1458 c.c.; l’eventuale irripetibilità di quella prestazione potrà attribuire al solvens, ricorrendone i presupposti, il diritto al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., od al pagamento dell’ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c.".

    Pronunciatasi in ordine agli effetti del contratto di locazione non registrato, la Corte chiarisce le ”conseguenze patrimoniali del contratto nullo”.

    Nel caso di specie, la Corte d’appello, qualificando il contratto di locazione non registrato come inefficace, aveva condannato il conduttore al pagamento di una somma coincidente con quella dovuta in virtù del contratto, facendo discendere tale obbligo dall’art. 1458 c.c. che disciplina gli effetti della risoluzione per inadempimento.

    La Corte di Cassazione, denunciando una cattiva applicazione dell’art. 1458 c.c., censura la decisione della Corte d’appello. Osserva, in particolare, che “le norme sulla risoluzione dei contratti (artt. 1453 ss. c.c.) non vengono in rilievo al cospetto d’un contratto nullo, il quale, in nessun caso può produrre effetti, nemmeno nel caso di contratto di durata”.
    Né rileva, al fine della produzione degli effetti, la considerazione che il rapporto si sia svolto in via di fatto. Infatti, “le ipotesi in cui il legislatore attribuisce rilievo giuridico allo svolgersi di un rapporto contrattuale nullo (come nel caso del lavoro dipendente di fatto) sono eccezionali”.

    Non esiste, infatti, un principio generale che equipari i rapporti contrattuali di fatto a quelli di diritto, ma solo norme che lo prevedano espressamente. Tali norme non esistono in materia di locazione.

    Aggiunge, infine la Corte che, affinché gli effetti della nullità possano essere disposti dal giudice, in termini di restituzioni, di risarcimento, o di ingiustificato arricchimento - come enunciato nel principio di diritto-  le relative domande devono essere correttamente formulate e debitamente provate.

  • 2. Corte di Cassazione, sez. II, n. 106 del 4 gennaio 2017: Ordinanza di rimessione alle S.U. : Strumenti di attuazione e meccanismo di funzionamento della donazione indiretta

    Nell’ordinanza in commento, la Seconda sezione trasmette gli atti al Primo Presidente, al fine di “ricomporre”, “con l’autorevolezza delle S.U.”, “il quadro frammentato” della disciplina della donazione indiretta, con riferimento al profilo “controverso e controvertibile” dello “strumento utilizzabile” per darvi attuazione e del “meccanismo di funzionamento”.

    La Corte procede nella sua argomentazione attraverso una puntuale ricostruzione dell’istituto.

    La Seconda sezione individua il fondamento normativo della donazione indiretta nell’art. 809 c.c.-  il quale estende l’applicazione degli istituti della revocazione e della riduzione anche alle liberalità che risultano da “atti diversi” da quelli previsti dall’art. 769 c.c.- e rileva come, per tali atti di liberalità, non sia previsto il requisito della forma solenne previsto dall’art. 782 c.c.

    Individuato il fondamento normativo dell’istituto, la Corte porta in rassegna gli “sforzi definitori” elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza, osservando come tali contributi contengano elementi che lasciano in ombra alcuni profili dell’istituto.

    Infatti, per quanto attiene agli strumenti di attuazione, si ritiene, in dottrina ed in giurisprudenza, che la donazione indiretta costituisca “la risultante della combinazione di due negozi ( il negozio- mezzo ed il negozio- fine, accessorio o integrativo)”.
    Tuttavia, come emerge dal vaglio della casistica giurisprudenziale, talvolta, è stato ritenuto sufficiente ad integrare la donazione indiretta anche “un solo negozio, purché capace di procurare l’effetto indiretto della liberalità”.

    La Corte enuclea in via esemplificativa alcune ipotesi paradigmatiche rappresentative di tale contrasto.
    Si è affermata, ad esempio, la donazione indiretta nel caso di dazione di una somma di denaro, ove accertato lo specifico fine di permettere al beneficiario di procurarsi l’acquisto di un bene.
    Al contrario, talvolta, la consegna gratuita di denaro è stata qualificata come donazione diretta.

    Quanto al meccanismo di funzionamento della donazione indiretta, talune sentenze hanno individuato il discrimine tra donazione diretta ed indiretta nel mezzo utilizzato. Per contro, in talune occasioni la giurisprudenza di legittimità ha escluso la configurabilità della donazione indiretta, laddove si ravvisa l’assenza di autonomia della gratuità. 

    Neanche la dottrina sembra offrire soluzioni univoche. La ricorrenza della donazione indiretta sembra ammessa abbastanza uniformemente per la rinunzia, il contratto a favore di terzo, l’adempimento del terzo, la donazione mista, la delegazione, l’espromissione, l’accollo, il trust e le contestazioni bancarie o postali. È esclusa, invece, per i titoli di credito, il comodato, e la garanzia per debiti altrui. Controversa è anche la configurabilità della donazione indiretta riguardo agli atti non negoziali.

    Enucleato il complesso dibattito giurisprudenziale e dottrinale sopra rassegnato, la Seconda sezione auspica un intervento interpretativo chiarificatore da parte delle Sezioni Unite.

  • 3. Corte di cassazione, sez. II, n.199 del 9 gennaio 2017: Parziarietà dell’obbligazione nascente dal rifacimento del lastrico solare esclusivo

    Nella sentenza in commento, la Corte di Cassazione dichiara sorretta dal criterio della parziarietà la responsabilità per il corrispettivo contrattuale preteso dall’appaltatore su chi abbia l’uso esclusivo del lastrico e sui condomini della parte dell’edificio cui il lastrico serve.

    Nel caso di specie, il proprietario del lastrico solare adempiva spontaneamente l’intera obbligazione di pagamento nei confronti dell’impresa appaltatrice che aveva eseguito i lavori di rifacimento del solaio, ottenendo poi ingiunzione nei confronti degli altri condomini per ottenere il rimborso dei 2/3 delle spese da lui anticipate.

    I condomini ingiunti proponevano opposizione a decreto ingiuntivo e il Giudice di Pace accoglieva l’opposizione ritenendo non applicabile, al caso di specie, l’invocato art.1110 c.c..

    In appello, il Tribunale, seppure con diversa motivazione, rigettava l’impugnazione, ritenendo che nella fattispecie fosse esperibile soltanto azione di ripetizione nei confronti dell’impresa, ai sensi dell’art. 2036 c.c., o, azione di ingiustificato arricchimento nei confronti degli appellati.

    La Corte di Cassazione, investita della questione, confermando il principio di diritto formulato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 9148 del 2008, afferma che “in difetto di un’espressa previsione normativa che stabilisca il principio di solidarietà, la responsabilità per il corrispettivo contrattuale preteso dall’appaltatore, incombente su chi abbia l’uso esclusivo del lastrico e sui condomini della parte dell’edificio cui il lastrico serve, è retta dal criterio della parziarietà, per cui l’obbligazione assunta nell’interesse del condominio si imputa ai singoli componenti nelle proporzioni stabilite dall’art. 1126 c.c., essendo tale norma non limitata a regolare il mero aspetto interno della ripartizione delle spese”.

    La Seconda sezione argomenta rilevando che l’obbligo di contribuzione alle spese di rifacimento del terrazzo di copertura non si connota, nei confronti dell’appaltatore, come “rapporto unico con più debitori”, ovvero come “obbligazione solidale”.

    Pertanto, dal momento che l’obbligazione non può essere qualificata come solidale, non può accordarsi alla proprietaria del lastrico solare un diritto di regresso nei confronti degli altri condomini, neanche qualora la richiesta di rimborso sia circoscritta alla quota millesimale dovuta da ciascuno di essi.

    Infatti, il diritto di regresso “sorge per la prima volta in capo al condebitore inadempiente sulla base del c.d. aspetto interno dell’obbligazione plurisoggettiva”.

    Aggiunge la Corte che il diritto al rimborso non può trovare fondamento neanche nel meccanismo della surrogazione legale ai sensi dell’art. 1203 n.3 c.c., in quanto il suddetto istituto, che implica il subentrare del condebitore adempiente nell’originario diritto del creditore soddisfatto, “ha luogo a vantaggio di colui che, essendo tenuto con altri o per altri al pagamento del debito, aveva interesse a soddisfarlo”. 

    Invero, la pretesa restitutoria avrebbe potuto trovare il suo fondamento nell’azione di ingiustificato arricchimento, “stante il vantaggio economico ricevuto dagli altri condomini (cfr. Cass. S.U., sentenza n. 9946 del 2009)”.

    Confermando l’argomentazione del Tribunale, la Corte nega, inoltre, l’applicabilità degli artt. 1110 e 1134 c.c.,- che, rispettivamente, in materia di comunione e di condominio degli edifici, legittimano il partecipante che abbia sostenuto spese necessarie alla conservazione della cosa comune ad ottenere il rimborso dagli altri partecipanti- non ricorrendone i presupposti applicativi.

    Individua, invece, la fonte dell’obbligo dei condomini di contribuire ai costi di manutenzione nell’art. 1126 c.c. che stabilisce la misura dell’obbligo di contribuzione alle spese delle riparazioni o ricostruzioni del lastrico nella misura, rispettivamente, di 1/3 per il condomino che ha l’uso esclusivo del lastrico solare, e nella misura dei 2/3 per tutti i condomini dell’edificio a cui il lastrico solare serve, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno.

    In assenza di un’espressa previsione normativa che stabilisca il principio della solidarietà, la responsabilità per il corrispettivo contrattuale preteso dall’appaltatore è retta dal criterio della parziarietà.

  • 4. Corte di Cassazione, sez. I, n. 24295 del 29 novembre 2016: Danno da perdita di chances: accertamento e liquidazione

    Nella pronuncia in esame la Corte di Cassazione ha statuito che per la liquidazione del danno da perdita di chances va fatto ricorso al criterio prognostico, basato su concrete e ragionevoli, non ipotetiche, possibilità di risultati utili.

    Nel caso di specie, il titolare di un’impresa agiva in giudizio nei confronti del Ministero dei Lavori Pubblici e del Comitato Centrale per l'Albo nazionale Costruttori, per ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalla mancata iscrizione in alcune categorie del predetto Albo.

    La pretesa risarcitoria avanzata dall’attore veniva accolta in primo grado e confermata nel giudizio d’appello, seppure con una riforma parziale con riferimento alla quantificazione dell’importo dovuto.

    La Corte del merito, infatti, ritenendo che la preclusione della partecipazione a talune gare, dovuta alla mancata iscrizione in talune categorie, avesse ridotto le occasioni per conseguire dei ricavi, aveva quantificato il danno da perdita di chances, in via equitativa, tenendo conto del “lasso temporale” durante il quale l’indebita omissione si era protratta e del “tipo di impresa in considerazione”.

    Con riferimento alla risarcibilità del danno da perdita di chances, il Ministero proponeva ricorso alla Corte di Cassazione denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1225, 1226, 1227, 2043 e 2056 c.c., nonché il vizio di motivazione, per avere la Corte d’appello riconosciuto il predetto danno in presenza di un pregiudizio non attuale, senza nesso di causalità diretto con il comportamento della P.A, senza rispondere ai rilievi della parte e senza indicare, se non in maniera del tutto generica, i criteri ed i parametri utilizzati per il calcolo della somma riconosciuta.

    La Corte, ritenendo la statuizione del giudice di merito erronea in diritto, accoglie il ricorso chiarendo i criteri che devono presiedere all’accertamento e alla liquidazione del danno da perdita di chances.

    Richiamando la pronuncia 2735/2015, la Prima sezione qualifica il danno patrimoniale da perdita di chances come “danno futuro”, “consistente nella perdita, non di un vantaggio economico, ma della mera possibilità di conseguirlo, secondo una valutazione ex ante”.

    Tale valutazione deve “ricondursi, diacronicamente, al momento in cui il comportamento illecito ha inciso su tale possibilità in termini di conseguenza dannosa potenziale”.   

    Precisa la Corte che “l’accertamento e la liquidazione di tale perdita, necessariamente equitativa, sono devoluti al giudice di merito e sono insindacabili in sede di legittimità se sono adeguatamente motivati”. 

    Il danno in oggetto presuppone, dunque, la prova, “in via presuntiva e probabilistica, della concreta e non meramente ipotetica possibilità di conseguire vantaggi economicamente apprezzabili”. 

    La prima sezione, nell’accogliere il motivo di ricorso attinente alla risarcibilità del danno da perdita di chances, cassa la sentenza impugnata, vincolando il giudice del rinvio al rispetto del seguente principio di diritto: “Ove sia fatta valere a fondamento della domanda risarcitoria ex art. 2043 c.c. nei confronti dell’Amministrazione, la lesione dell’interesse pretensivo, concretantesi nel caso nella preclusione della possibilità di partecipazione a gare pubbliche per la illegittima mancata iscrizione dell’impresa all’Albo Nazionale Costruttori per le categorie di lavori ed importi indicati, occorre valutare, sulla base degli elementi di fatto forniti dal danneggiato, in via presuntiva e probabilistica la sussistenza ex ante di concrete e non ipotetiche possibilità di conseguire vantaggi economici; dell’accertamento e della liquidazione di tale perdita condotte in via equitativa il giudice deve dare conto del processo logico e valutativo seguito”.