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Anno XVI - n. 04 - Aprile 2024

  Giurisprudenza Civile



CORTE DI CASSAZIONE – Sezione Prima Civile, Ordinanza 12 dicembre 2017, n. 29810

Intese e distorsioni della concorrenza. A cura di Giulia Russo
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“La nullità del contratto «a valle» di un’intesa restrittiva della concorrenza (relativa, nella specie, alle norme bancarie uniformi Abi in materia di fideiussioni omnibus) può ricorrere anche per il contratto stipulato prima dell’accertamento dell’illiceità ad opera dell’autorità preposta all’applicazione della disciplina antitrust, purché detto contratto sia stato posto in essere dopo l’intesa stessa e concorra a realizzare la distorsione della concorrenza”

I. LA VICENDA.

La questione involge un contratto di fideiussione omnibus concluso, in data 18 febbraio 2005, dal ricorrente (fideiussore) con una banca in modo del tutto conforme allo schema contrattuale predisposto dall’ABI relativamente alle “Condizioni generali di contratto per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie”.  

Nel caso di specie, il ricorrente lamentava la nullità della fideiussione sulla base dell’assunto per cui la garanzia prestata, sebbene fosse conforme al predetto schema ABI, risultava, tuttavia, attuativa, di clausole che la Banca d’Italia ha ritenuto, con provvedimento n. B423 del 2 maggio 2005 - recante data successiva alla stipula del contratto di fideiussione -, in contrasto con l’art. 2, co. II, lett. a) della Legge n. 287/1990 (c.d. legge antitrust).

La Corte d’Appello di Venezia adita rigettava l’impugnazione, ritenendo che il provvedimento della Banca d’Italia, avente carattere meramente regolamentare, non potesse trovare applicazione ai contratti «a valle», stipulati anteriormente alla sua emanazione, atteso che “il dictum dell’Autorità Indipendente non inciderebbe sulla legittimità delle clausole, ma solo sulla loro contrarietà all’art. 2 della Legge n. 287/1990, in conseguenza della loro applicazione uniforme. Sicché, solo il mancato adeguamento dell’ABI nella predisposizione delle norme bancarie uniformi (Nbu) dovrebbe dirsi illegittimo e potrebbe costituire un comportamento idoneo a determinare la nullità dei contratti stipulati successivamente alla pronuncia del controllore pubblico, ove non derogato da comportamenti dell’istituto di credito, in specifiche fattispecie negoziali”. 

Da tale assunto, ne derivava il rigetto della domanda di parte attrice per effetto del riconoscimento della validità del contratto di fideiussione, sottoscritto, oltretutto, in data anteriore alla pubblicazione del provvedimento della Banca d’Italia.

Ebbene, la Corte di Cassazione, investita del ricorso, ha ribaltato la decisione di merito, stigmatizzando la prassi bancaria di applicazione uniforme di clausole contrattuali che siano il frutto di una intesa illecita intervenuta tra gli istituti di credito, in quanto contraria a norme imperative. 

In particolare, i giudici di legittimità, dopo aver accertato la illiceità degli accordi (anticoncorrenziali) conclusi «a monte» e concretizzatesi nelle norme bancarie uniformi dell’ABI, affermano la potenziale nullità di tutti contratti stipulati «a valle» che costituiscano applicazione di quelle intese illecite.

II. IL PRINCIPIO DI DIRITTO ENUNCIATO DALLA CORTE DI CASSAZIONE.

La Corte di Cassazione con l’ordinanza in epigrafe pronuncia il seguente principio di diritto: “In tema di accertamento dell'esistenza di intese anticoncorrenziali vietate dalla L. n. 287 del 1990, art.2, la stipulazione "a valle" di contratti o negozi che costituiscano l'applicazione di quelle intese illecite concluse "a monte" (nella specie: relative alle norme bancarie uniformi ABI in materia di contratti di fideiussione, in quanto contenenti clausole contrarie a norme imperative) comprendono anche i contratti stipulati anteriormente all'accertamento dell'intesa da parte dell'Autorità indipendente preposta alla regolazione o al controllo di quel mercato (nella specie, per quello bancario, la Banca d'Italia con le funzioni di Autorità garante della concorrenza tra istituti creditizi, ai sensi della L. n. 287 del 1990, articoli 14 e 20, (in vigore fino al trasferimento dei poteri all'AGCM, con la L. n. 262 del 2005, a far data dal 12 gennaio 2016) a condizione che quell'intesa sia stata posta in essere materialmente prima del negozio denunciato come nullo, considerato anche che rientrano sotto quella disciplina anticoncorrenziale tutte le vicende successive del rapporto che costituiscano la realizzazione di profili di distorsione della concorrenza”. 

Invero, la Suprema Corte afferma che tutte le fideiussioni omnibus predisposte dall’ABI e utilizzate da tutte le banche italiane sono nulle, in quanto violano l’art. 2, co. II, lett. a), della Legge n. 287/1990.

In particolare, il suddetto articolo così recita: “ Sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel:  a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali”. 

Alla luce di tale principio, la Corte di legittimità ripudia l’uniformità dei testi predisposti a monte dall’ABI ed utilizzati, senza variazione alcuna, a valle, da tutte le banche. 

Sicché, tutte le fideiussioni omnibus stipulate dopo l’entrata in vigore della legge antitrust, in attuazione di siffatte intese, sono da considerarsi nulle anche se stipulate anteriormente all’accertamento della violazione della disciplina antitrust compiuto dall’Autorità garante. E tanto alla sola condizione che, naturalmente, l’intesa «a monte» sia intervenuta prima della stipulazione del negozio «a valle».

In particolare, a sostegno della propria decisione, la Corte di Cassazione ha richiamato la ratio della legge antitrust, così come precisato dalla stessa Corte di Cassazione a Sezioni Unite con sentenza n. 2207/2005. 

Ebbene, la legge antitrust detta norme a tutela della libertà di concorrenza aventi come destinatari tutti gli operatori del mercato, ovvero chiunque abbia interesse alla conservazione del carattere competitivo dello stesso, non solo l’imprenditore. Invero, come affermato dalla Suprema Corte, di fronte a una intesa restrittiva della libertà di concorrenza, “il consumatore, acquirente finale del prodotto offerto dal mercato, vede eluso il proprio diritto a una scelta effettiva tra prodotti in concorrenza” e, nel contempo, “il c.d. contratto «a valle» costituisce lo sblocco dell’intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti”.

L’interesse alla conversazione del carattere competitivo del mercato viene leso, come nel caso de quo, laddove per effetto di un’intesa vietata, in quanto restrittiva della concorrenza - come in ipotesi di uniformità testuale delle fideiussioni predisposte dagli Istituti di Credito - venga eluso il diritto ad una scelta effettiva tra prodotti in concorrenza. 

Pertanto, a tutela della concorrenza e degli soggetti che operano sul mercato, il Legislatore offre quali strumenti di tutela l’azione di nullità e il diritto al risarcimento del danno di cui all’art. 33 della Legge n. 287/1990.

Alla luce delle considerazioni svolte, il provvedimento dei giudici di legittimità si mostra, altresì, avvincente in quanto offre una importante puntualizzazione in ordine alla nozione di intesa illecita.

Al riguardo la Suprema Corte ha affermato che l’art. 2 della Legge n. 287/1990 allorché dispone che siano nulle ad ogni effetto le “intese” fra imprese che abbiano ad oggetto o per effetto quello di impedire, restringere o falsare in modo consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, non ha inteso riferirsi solo alle “intese” in quanto contratti in senso tecnico ovvero negozi giuridici consistenti in manifestazioni di volontà tendenti a realizzare una funzione specifica attraverso un particolare “voluto”. In realtà e in senso più ampio, il Legislatore ha inteso proibire il fatto della distorsione della concorrenza, il che può essere frutto anche di comportamenti “non contrattuali” o “non negoziali”. Si rende, così, rilevante qualsiasi condotta di mercato (anche realizzantesi in forme che escludono una caratterizzazione negoziale) purché con la consapevole partecipazione di almeno due imprese, nonché anche la fattispecie in cui il meccanismo di “intesa” rappresenti il risultato del ricorso a schemi giuridici meramente “unilaterali”. Da ciò consegue che, “allorché l’art. 2 legge antitrust stabilisce la nullità delle “intese”, non abbia inteso dare rilevanza esclusivamente all’eventuale negozio giuridico originario - a monte - postosi all’origine della successiva sequenza comportamentale, ma a tutta la più complessiva situazione - anche successiva al negozio originario la quale- in quanto tale - realizza un ostacolo al gioco della concorrenza”.

III. GLI ISTITUTI.

Fermo tutto quanto sopra esaminato con riferimento alla vicenda dei fatti di causa e al dictum espresso dai giudici di legittimità, è opportuno analizzare gli istituti giuridici che nel caso de quo vengono in rilievo.

Nel dettaglio, si fa riferimento alla fideiussione omnibus e all’illecito antitrust.

III. 1. FIDEIUSSIONE OMNIBUS.

La fideiussione omnibus si inscrive tra le garanzie personali atipiche. 

In particolare, il ricorso alle garanzie personali atipiche si spiega in ragione dei limiti intrinseci delle garanzie tipizzate dal codice del 1942, quali l’accessorietà, determinatezza del debito garantito e omogeneità della prestazione a cui è tenuto il garante rispetto a quella del debitore principale.

La fideiussione omnibus costituisce una garanzia personale rilasciata in favore degli istituti di credito, avente ad oggetto l’adempimento di tutte le obbligazioni dipendenti da contratti bancari che il debitore principale ha assunto o assumerà in futuro verso il creditore.

Pertanto, il fideiussore è tenuto a prestare garanzia non solo per le obbligazioni passate, ma anche per quelle future. Da ciò deriva che il fideiussore al momento in cui presta la garanzia è esposto a un rischio patrimoniale illimitato e non prevedibile.

La suddetta garanzia si espone, dunque, ad alcune criticità soprattutto in ordine al deficit di determinatezza che investe l’oggetto della fideiussione medesima.

Ed infatti, mentre parte della dottrina ne afferma la nullità per indeterminatezza dell’oggetto ai sensi degli artt. 1346 e 1348 c.c., invece i giudici di legittimità vi riconduce la determinabilità per relationem, dal momento che il fideiussore può prevedere l’importo da garantire a fronte della situazione patrimoniale del debitore e dei suoi rapporti con la banca creditrice.

A fronte del contrasto tra dottrina e giurisprudenza, è intervenuto il Legislatore con la Legge n. 154/1992, la quale ha modificato gli artt. 1938 e 1956 c.c..

In particolare, all’art. 1938 c.c. è stato introdotto il limite dell’importo massimo garantito, al fine di rendere certa l’entità della garanzia.

L’art. 1956 c.c., invece, in ossequio al principio di buona fede nell’esecuzione del contratto, prescrive che “il fideiussore per un’obbligazione futura è liberato se il creditore, senza speciale autorizzazione del fideiussore, ha fatto credito al terzo, pur conoscendo che le condizioni patrimoniali di questo erano divenute tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito. Non è valida la preventiva rinuncia del fideiussore ad avvalersi della liberazione”.

III. 2. ILLECITO ANTITRUST.

Per quanto attiene al mercato interno, le regole in materia di concorrenza sono disciplinate dalla Legge n. 287/1990, che ha recepito i principi dettati per il commercio infracomuniario.

La violazione delle norme in materia di concorrenza può determinare la lesione di interessi pubblicistici e privatistici. La tutela dei primi viene affidata alle Autorità amministrative indipendenti; la tutela dei secondi agli strumenti di private enforcement tramite il ricorso al Giudice ordinario.

In particolare, come affermato anche dalla Corte di Cassazione nella pronuncia di cui si discute, gli strumenti di tutela accordati ai privati sono disciplinati dall’art. 33 Legge n. 287/1990. Essi sono: l’azione di nullità e la tutela risarcitoria, esperibili dal soggetto leso dinanzi alla Corte di Appello.

Per quanto attiene alla tutela risarcitoria, l’art. 33 Legge n. 287/1990 non prevede una dettagliata disciplina dell’onere della prova; pertanto, si dubita circa l’applicabilità della gravosa disciplina prevista dall’art. 2043 c.c..

Al riguardo, i giudici di legittimità hanno distinto due ipotesi.

La prima è quella in cui l’azione risarcitoria privata segua l’accertamento della violazione antitrust da parte dell’Autorità amministrativa indipendente. In tal caso l’accertamento dell’Autorità assumerò un valore probatorio particolarmente rafforzato.

La seconda è quella in cui l’azione venga esercitata senza l’intervento dell’Autorità. Al riguardo, la giurisprudenza ha ammesso che la prova degli elementi costitutivi dell’illecito avvenga per presunzioni.

A fronte, poi, dei limiti di cognizione del Giudice ordinario, sono intervenuti da un lato il Legislatore europeo e dall’altro la Corte di Cassazione nel 2015.

Il Legislatore europeo ha adottato la direttiva UE 104/2014, in tal modo introducendo una presunzione di illiceità dei cartelli tra imprese e autorizzando il Giudice all’accesso agli atti in possesso delle Autorità antitrust.

A dirimere le problematiche insorte è, poi, intervenuta anche la Corte di Cassazione con sentenza n. 11564/2015, prevedendo che, sebbene all’epoca la Direttiva europea non fosse stata ancora recepita, dovessero subito trovare applicazione i principi ivi affermati rispetto allo scambio di informazioni tra autorità nazionali e al sistema delle prove, dal momento che l’applicazione meccanica delle regole probatorie previste in generale per l’illecito aquiliano vanificherebbe lo strumento del risarcimento del danno antitrust.

Con riferimento, invece, all’azione di nullità in materia di illecito antitrust, occorre richiamare la già citata pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 2207/2015, con la quale è stata data risposta al quesito circa il regime applicabile ai contratti «a valle» stipulati dai consumatori, rispetto a un accordo tra imprese «a monte» illecito, in materia di concorrenza.

Al riguardo, la Suprema Corte ha affermato che nell’ottica di globalizzazione di mercato la disciplina antitrust è applicabile sia ai rapporti «a monte» tra imprese, sia ai rapporti «a valle» tra imprese e consumatori; con la differenza, però, che mentre per i contratti «a monte» operi la nullità, invece per quelli «a valle» sussista un danno risarcibile. 

Ebbene, sul punto, è ancora una volta il caso di rimarcare come un ulteriore passo in avanti sia stato compiuto dai giudici di legittimità con la pronuncia in commento, laddove hanno riconosciuto anche per i contratti «a valle» l’operatività del rimedio della nullità, affermando che “la nullità del contratto «a valle» di un’intesa restrittiva della concorrenza può ricorrere anche per il contratto stipulato prima dell’accertamento dell’illiceità ad opera dell’autorità preposta all’applicazione della disciplina antitrust, purché detto contratto sia stato posto in essere dopo l’intesa stessa e concorra a realizzare la distorsione della concorrenza”.

IV. LE CONSEGUENZE PROCESSUALI E SOSTANZIALI.

Ciò posto e alla luce delle considerazioni sin qui svolte in punto di vicende processuali, principi affermati e istituti rilevanti, occorre prendere in considerazione le conseguenze derivanti dalla succitata pronuncia della Corte. 

In particolare, giova evidenziare come la stessa avrà, certamente, delle ripercussioni applicative rilevanti sul piano sia processuale, sia sostanziale.

Dal punto di vista processuale, è noto come il principio del c.d. stare decisis (ossia l’obbligatorietà del precedente giurisprudenziale) imponga, anche nel nostro ordinamento, di applicare il precedente enucleato a tutti i casi analoghi, dal momento che, in assenza una norma che lo codifichi, esso costituisce, comunque, una “direttiva di tendenza immanente nell’ordinamento” (cfr. Cass., Sez. Un., 31.07.2012, n. 13620).

Dal punto di vista sostanziale, non ci si sottrarrà dal rilevare come, certamente, il fideiussore potrà invocare la suddetta nullità ed opporsi ad ingiunzioni di pagamento, ad esecuzioni immobiliari, e altresì richiedere il risarcimento del danno da condotta illecita in aggiunta a quello derivante da illegittima segnalazione alla Autorità amministrativa indipendente. 

È evidente, dunque, il forte impatto che la pronuncia della Corte di Cassazione avrà sulla validità delle clausole fideiussorie, uniformemente formulate e attualmente in vigore, stante, soprattutto, la “specialità” del danno antitrust e la sua rilevanza - come visto - anche in termini di catena eziologica e significativa scissione temporale tra la condotta posta in essere e il verificarsi del danno (c.d. lungolatente), in ragione dell’intesa illecita e dell’alterazione dei meccanismi concorrenziali.