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Anno XVI - n. 04 - Aprile 2024

  Temi e Dibattiti



Il neoformalismo per la tutela della parte debole e dei mercati finanziari

Sull'importanza della forma. A cura di Fabio Liparoti
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Le pronunce della Suprema Corte di Cassazione di seguito in esame consentono di stabilire quale sia la posizione della giurisprudenza di legittimità in merito alla validità della forma scritta ad substantiam dei contratti di investimento utilizzati dagli intermediari finanziari.

In modo costante, la giurisprudenza si preoccupa di garantire la regolarità e stabilità dei mercati e del sistema finanziario tramite la solennità degli scambi tipici dell’economia fondiaria.

La I sez. Civile della Suprema Corte di Cassazione con ordinanza n. 12390 del 17.05.2017, ha disposto la remissione al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezione Unite di una rilevante questione di diritto emersa nel corso dell’intero procedimento.

Ad avviso della Sezione remittente, l’interrogativo da porre al fine di avere una pronuncia delle Sezioni Unite era così riassumibile: “se, a norma del D.lgs. n. 58 del 1998, art. 23, il requisito della forma scritta del contratto di investimento esiga accanto a quella dell’investitore anche la sottoscrizione ad substantiam dell’intermediario” .

L’intera vicenda si basa sulla domanda di nullità o di annullabilità o di inefficacia del contratto di investimento con i quali i risparmiatori avevano acquistato un pacchetto di obbligazioni Argentina Eur 9, 25% 2000/2004 stipulato il 19 luglio 2000 con la conseguente restituzione del valore dei titoli, oltre che degli accessori.

La Corte d’Appello di Milano accoglieva l’impugnazione dei risparmiatori verso la decisione del Tribunale di primo grado in quanto il contratto quadro era da ritenersi invalido per mancanza della sottoscrizione per accettazione da parte della Banca medesima.

Infatti, una delle questioni di diritto più rilevanti sulla quale la Suprema Corte è chiamata ad esprimersi, è se la manifestazione di volontà negoziale unilaterale sia sufficiente per consacrare il documento quale contratto, o se invece per l’effetto lo stesso non venga degradato a semplice proposta.

Giova ricordare come nel caso in questione trova applicazione l’art. 1350 c.c. che prescrive quali tipi di atti devono avere la forma scritta, e il D. lgs. N. 415 del 1996, art. 18 co. 1 (c.d. Eurosim) poi sostituito dal D. lgs. N. 58 del 1998, art. 23 co. 1 (c.d. TUF), contenente una previsione di nullità relativa per il difetto di forma scritta nei contratti. Quest’ultimo espressamente prescrive che “i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento(…) sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti (…) nei casi di inosservanza della forma prescritta, il contratto è nullo”; aggiunge il terzo comma che “la nullità può essere fatta valere solo dal cliente”.

Secondo il Collegio, appare necessario rimettere la causa al Primo Presidente per l’ipotesi che le Sezioni Unite civili possano confermare l’orientamento assunto dalla giurisprudenza più recente, ovvero che “nel contratto di intermediazione finanziaria, la produzione in giudizio del modulo negoziale relativo al contratto quadro sottoscritto soltanto dall’investitore non soddisfa l’obbligo della forma scritta ad substantiam imposto, a pena di nullità, dal D. lgs. n. 58 del 1998, art. 23 e, trattandosi di una nullità di protezione, la stessa può essere eccepita dall’investitore anche limitatamente ad alcuni degli ordini di acquisto a mezzo dei quali è stato data esecuzione al contratto viziato” (Cass. Sez. 1, sent. n. 8395/2016) .

D’altronde, la giurisprudenza in maniera costante ha da sempre affermato come il legislatore richieda la forma scritta per meglio tutelare una delle parti del contratto, ragion per cui sarebbe manifestamente contraddittorio ammettere che quel difetto di forma sia facilmente sanabile. (Si veda sul punto Cass. Sez. civ. 22.03.2013, n. 7283; Cass. Sez. civ. 22 dicembre 2011, n. 28432). 

A dimostrazione di quanto appena affermato, viene ribadito nelle pronunce in esame come non siano previste nè forme equipollenti a quella scritta né ratifiche, così da non essere idonea ad integrare il requisito formale la sottoscrizione dei documenti sui rischi generali di cui all’art. 28 reg. Consob n. 11522 del 1998.

Infatti, ad avviso della Banca, invece, ciò che assume rilevanza nel comportamento del risparmiatore è l’exceptio doli, ossia la volontà di far valere il difetto di forma del contratto quadro in maniera selettiva al fine di porre nel nulla soltanto alcune delle operazioni compiute.

E’ del tutto evidente che tale ultimo aspetto possa chiamare in causa la revisione generale dell’applicazione del principio di buona fede oggettiva per evitare che il risparmiatore in mala fede ponga una domanda di nullità selettiva. Anche in tale ultima ipotesi, sovviene in soccorso la pronuncia poc’anzi citata (Cass. Sez. 1, sent. n. 8395/2016) la quale ha espresso un principio di diritto secondo cui “può essere sollevato dall’investitore anche limitatamente ad alcuni (soltanto) degli ordini di acquisto a mezzo dei quali è stato data esecuzione al contratto (quadro) viziato”. La dottrina discute a tal proposito sulla c.d. teoretica della forma ed in particolare della finalità che la stessa consente di raggiungere. Da qui la duplice funzione affidata alla forma scritta ad substantiam quale garanzia per la chiarezza nei contenuti, della ponderazione per l’impegno assunto e della serietà dell’accordo, ma soprattutto di tutela della “parte debole”. Un ritorno al “formalismo negoziale” o “neoformalismo” dovuto al passaggio da un’economia rurale a quella più complessa del mercato finanziario e digitale.  

Una conseguente “nullità di protezione” invocabile dalla parte debole del rapporto contrattuale che diventa strumento di governo degli scambi e mezzo di tutela degli interessi anche nei confronti di situazioni irrazionali che potrebbero compromettere la libertà di scelta del consumatore/investitore. Tutto ciò in apparente contrasto con la normativa e giurisprudenza comunitaria, entrambi tendenti a ridurre il peso assegnato al formalismo negoziale.

In tale senso la direttiva 2007/64/CE sui servizi di pagamento nel mercato interno, attuata con il D.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11 che ha introdotto nel t.u.b. il Capo 2-bis sui “servizi di pagamento” (art. 126 bis e 126 octies) e la direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito al consumo, recepita dal D. lgs. 13 agosto 2010, n. 141 che ha modificato il capo 1 sulle disposizioni generali in tema di operazioni bancarie ed il capo 2 del t.u.b. sul “credito al consumo”.

Ne consegue una tesi secondo la quale sarebbe adempiuto il requisito della forma scritta ai sensi dell’art. 23 con la sola firma dell’investitore/consumatore, diventando superflua la sottoscrizione dell’intermediario finanziario. La forma scritta sarebbe rispettata in quanto l’altra parte del rapporto, ovvero la Banca medesima, non avrebbe necessità di sottoscrivere nessun documento in quanto soggetto predisponente del contratto.

Anzi, secondo tale teoria, la firma dell’intermediario finanziario per il tramite del funzionario, si porrebbe in senso contrario al dinamismo della conclusione dei contratti finanziari e di conseguenza all’efficienza dei mercati, cui in definitiva la nullità di protezione mirano.

Il consenso della banca potrebbe essere raccolto ex art. 1327 c.c. anche tramite comportamenti concludenti, quali ad esempio la predisposizione del medesimo testo contrattuale, la raccolta della sottoscrizione del cliente, la consegna del documento negoziale o l’esecuzione del contratto.

Ciò che porta parte della dottrina a sostenere tale tesi, è la necessità di evitare che l’eccezione di nullità sia sollevata strumentalmente da parte del consumatore soltanto dinnanzi una perdita marginale successiva, a fronte di fruttuosi vantaggi per il cliente.

La scelta del cliente investitore di far valere la nullità del contratto- quadro rispetto ad alcuni ordini, ovvero il c.d. uso selettivo della nullità del contratto- quadro, potrebbe avvallare l’uso abusivo del diritto, già peraltro stigmatizzato da parte della S.C. ( Cass. 13 settembre 2016, n. 17968). 

Oltre all’assolvimento degli obblighi informativi cui deve conformarsi la condotta dell’intermediario vi è un contenuto minimo del contratto quadro desumibile dagli elementi indicati nell’art. 30 del Regolamento Consob che viene garantito con l’obbligo di redazione del testo per iscritto contenuto anche nelle norme in vigore anteriormente all’art. 23.

L’obbligo della forma scritta non è incompatibile con la formazione del contratto attraverso lo scambio di due documenti, entrambi dello stesso tenore, ciascuno sottoscritto dall’altro contraente. Non vi è ragione di discostarsi dall’insegnamento ribadito, secondo cui il requisito della forma scritta ad substantiam è soddisfatto anche se le sottoscrizioni delle parti sono contenute in documenti distinti, purchè risulti il collegamento inscindibile del secondo documento al primo, “si da evidenziare inequivocabilmente la formazione dell’accordo” (Cass. 13.02.2007, n. 3088; Cass. 18.07.1997, 6629).

La Suprema Corte di Cassazione nella riforma della sentenza del giudice di merito ha avuto modo di esprimere il seguente principio di diritto: “nel contratto di intermediazione finanziaria, la produzione in giudizio del modulo negoziale relativo al contratto quadro sottoscritto soltanto dall’investitore, non soddisfa l’obbligo della forma scritta ad substantiam imposto a pena di nullità dell’art. 23 d.lgs. n. 58/98”.

Un breve cenno deve essere condotto sul piano della prova processuale ove si può affermare che la prova testimoniale di un contratto per la cui stipula è richiesta la forma scritta ad substantiam, è consentita solo nell’ipotesi in cui il contraente abbia perso senza colpa il proprio documento. Tale preclusione può essere estesa alla prova per presunzioni ex art. 2729 c.c. nonché per il giuramento ai sensi dell’art. 2739 c.c.

Sovviene a tal proposito la regola generale secondo cui la produzione in giudizio da parte del contraente che non ha sottoscritto la scrittura realizza un equivalente della sottoscrizione, con conseguente perfezionamento ex nunc della costituzione del rapporto.

Con l’eccezione nel caso in questione in quanto la produzione in giudizio da parte della banca non produce nessun effetto in quanto la validità dei singoli ordini di acquisto richiedevano a monte (e non a valle) un valido contratto quadro.