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Anno XVI - n. 03 - Marzo 2024

  Giurisprudenza Penale



Corte Costituzionale - Sentenza 13 luglio 2017, n. 179 e Ordinanza 13 luglio 2017, n. 184

Costituzionalità del regime sanzionatorio delle sostanze stupefacenti. A a cura di Salvatore Messina
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Le pronunce in commento si segnalano per affrontare, una volta di più, l’annosa questione della costituzionalità del regime sanzionatorio delle sostanze stupefacenti. 

Nello specifico, i supremi Giudici si sono occupati delle pene applicabili ai fatti non lievi aventi ad oggetto droghe pesanti. 

I provvedimenti di cui in intestazione si innestano nel solco della celebre sentenza n. 32 del 2014, con la quale venne dichiarata l’illegittimità costituzionale della legge “c.d. Fini-Giovanardi”. Dalla promulgazione di tale pronuncia, tornò in vigore la disciplina previgente di cui al D.P.R. n. 309 del 1990 nella versione precedente alla novella del 2006 occorsa proprio con la legge n. 49 del 2006. Per l’effetto, l’uso di droghe c.d. “pesanti” implica un aggravamento sanzionatorio quanto alla pena della reclusione (da otto a vent’anni e non più da sei a venti). Al contrario, per le droghe leggere il trattamento sanzionatorio è più mite, poiché il quarto comma dell’art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990 prevede una pena detentiva da due e sei anni, notevolmente inferiore a quella comminabile sotto la vigenza della legge “Fini-Giovanardi”. 

Analizzando specificamente il contenuto delle pronunce in commento, con la sentenza n. 179 del 2017 la Corte Costituzionale è stata chiamata a verificare l’eventuale irragionevolezza della divaricazione sanzionatoria che separa il minimo della pena per i fatti di non lieve entità concernenti le droghe pesanti, di cui all’art. 73 comma primo del D.P.R. n. 209 del 1990, ed il massimo della pena previsto dal legislatore per i fatti di lieve entità concernenti tutte le sostanze stupefacenti. Invero, i primi sono sanzionati con pena minima di otto anni di reclusione; i secondi, invece, con pena massima di quattro anni. 

Il giudice delle leggi ha, per un verso, ribadito la non assolutezza della discrezionalità del Legislatore sulle scelte in materia di misura della pena. Difatti, le stesse devono rispondere a vari principi, come quello di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., nonché quelli scolpiti nell’art. 27 della Carta fondamentale. Per altro verso, la Consulta ha ribadito il limite dell’intervento censorio, individuato nel fatto che la Corte non possa sostituire alle scelte del Legislatore, quantunque costituzionalmente illegittime, proprie ed autonome quantificazioni punitive, poiché così facendo invaderebbe un campo di discrezionalità intangibile. 

L’unico modo, per la Corte Costituzionale, di incidere sulla dosimetria della pena è quello di rinvenire, all’interno dell’ordinamento positivo, un’adeguata disposizione sanzionatoria sostitutiva di quella dichiarata costituzionalmente illegittima, si da non lasciare vuoti normativi e, così, rispettando anche la riserva di legge di cui all’art. 25 Cost. Qualora ciò non fosse possibile, il Giudice delle leggi non può che sollecitare un intervento legislativo. 

Nell’eventualità in cui il Legislatore si sottragga al suo compito, la Corte Costituzionale sarebbe legittimata ad intervenire, ma non in malam partem e sempre nei limiti fissati dalla giurisprudenza.  In quest’ottica, la Suprema Corte ha riconosciuto e condiviso le motivazioni dei giudici rimettenti che individuavano un’irragionevolezza ed una sproporzione tra il trattamento sanzionatorio del minimo per il fatto di non lieve entità per le droghe pesanti ed il massimo di quello lieve. Nondimeno, i giudici nomofilattici hanno ritenuto di non poter porvi rimedio direttamente, dichiarando la questione inammissibile. 

Tuttavia, la Corte Costituzionale ha rivolto un auspicio al Legislatore, affinché quest’ultimo procedo a soddisfare il principio di necessaria proporzionalità del trattamento sanzionatorio, risanando la frattura che separa le pene previste per i fatti lievi e per quelli non lievi di cui ai commi quinti e primo dell’art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990. 

Nell’ordinanza n. 184 del 2017, la Corte Costituzionale si è occupata, per certi aspetti, della medesima questione, ma sotto un diverso angolo prospettico. Invero, in relazione al trattamento sanzionato minimo previsto per le droghe pesanti a seguito della pronuncia n. 32 della Corte Costituzionale del 2014, il giudice rimettente aveva ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 73, comma primo, del D.P.R. n. 309 del 1990 per contrasto con gli artt. 3, 25 e 27 della Costituzione. 

Invece, la Consulta ha ritenuto manifestamente inammissibile la questione sottoposta alla sua attenzione. 

Specificamente, la Corte di Cassazione, nel rimettere il quesito giuridico ai Supremi giudici, dubitava della costituzionalità del minimo edittale di otto anni di reclusione per le droghe pesanti, evocando la possibilità che questi ultimi ripristinassero, per la pena detentiva, il minimo di sei anni previsto dalla legge “Fini-Giovanardi”, quantunque dichiarata incostituzionale. In definitiva, il giudice remittente confidava in un intervento caducatorio della Corte Costituzionale che portasse ad un nuovo assetto sanzionatorio, frutto del mix tra il disposto della legge Fini-Giovanardi e di quella, precedente, Vassalli-Iervolino. 

Così come proposta, la questione non poteva che risolversi in una declaratoria d’inammissibilità. In prima battuta, era difficilmente sostenibile l’assunto secondo cui sia stata la pronuncia della Corte costituzionale n. 32 del 2014 ad aver violato il dato dell’art. 25 comma secondo Cost, avendo introdotto una disciplina sanzionatoria in malam partem. 

A ben vedere, la sanzione de qua è stata introdotta dalla legge Vassalli-Iervolino, sicché la pronuncia testé menzionata altro non ha fatto se non far rivivere detta disposizione, avendo dichiarato incostituzionale la novella del 2006. A più forte ragione, non può sottacersi che il Legislatore è intervenuto sulla materia nel 2014, senza però riformare il dettato dell’art. 73, comma primo del D.P.R. n. 309 del 1990. 

Tale scelta evidenzia l’intento legislativo di assicurare, anche se in modo implicito, una differenza nel trattamento sanzionatorio per il consumo di droghe leggere e pesanti, con annesso distinguo dei limiti edittali.